Andie va a spasso

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lunedì 30 maggio 2011

Tienes que seguir buscando

Pina.
Basta il nome. Tanto si sa che è lei.

A riprova del fatto che non serve fare tanto rumore per farsi ascoltare. Tanto chi deve sentire sente lo stesso.

Lei non diceva nulla, non spiegava cosa fare. Con una semplice frase andava direttamente al cuore di una persona e quella frase da sola fungeva da spiegazione. Non criticava mai e non spiegava mai. Ma faceva venire fuori quello che voleva manifestarsi.

I suoi movimenti sono tra la danza e il teatro. Sono quei movimenti che non devono avere un senso o una spiegazione per avere il diritto di esistere. Proprio come l'essere umano. Sono dei movimenti che nascono dalla ricerca. Dalla ricerca dei limiti, delle paure, delle gioie, delle rabbie, delle frontiere, dell'indicibile. Perché a volte la parola non aggiunge, ma toglie.

Il solo sguardo di Pina, dolce, malinconico e lontano, dà voglia di guardarsi dentro, perché lei quando guarda qualcuno vede qualcosa che gli altri non vedono e che talvolta neanche noi stessi vediamo. E con la sua delicatezza ci dà voglia di esplorare questo qualcosa, senza averne paura.

Pina vede la bellezza ovunque. Perché tutti siamo belli. Pina non si interessa a canoni o a misure, ma alla profondità contenuta nella bellezza, ai messaggi che si celano dietro. E vuole far venire fuori quei messaggi affinché la bellezza si riveli attraverso di essi.

Danzare con e per Pina non è facile, perché richiede un'analisi profonda e costante di noi stessi e un dialogo profondo e costante con noi stessi. Richiede di vincere la paura.

Quando ritiene che una persona non dia il meglio di sé, Pina non avanza critiche né dà particolari indicazioni. Si limita a dire una frase che non può far altro che giungere diritta al nucleo: Devi continuare a cercare.

Grazie Pina. Grazie a quelli come te che arricchiscono questo mondo. Ecco come contribuire a costruire un mondo migliore.

mercoledì 25 maggio 2011

Dance with me

Il più grande limite dell'essere umano è quello di mettersi dei limiti da solo. Ma perché dobbiamo rientrare in una categoria? Non possiamo spaziare da un'estremità all'altra ed esplorare tutto l'esplorabile seguendo semplicemente la nostra voce?

Sin da quando ero piccola, ho sempre avuto una repulsione naturale per i gruppi e gli schieramenti perché mi facevano sentire in gabbia. Ai miei tempi si portava essere chiattillo o alternativo. Il chiattillo doveva mettere il Barbour, le zeppe, i vestiti UMM, ecc..e l'alternativo doveva comprare al mercato della roba usata, Resina. A me tutto ciò mi sembrava ridicolo e infatti avevo difficoltà a voler far parte di uno e dell'altro gruppo e volevo essere accettata nella mia totale libertà di spirito. I chiattilli frequentavano solo alcuni quartieri e locali, in cui gli alternativi non mettevano piede e viceversa.

Quando sono passata all'università: la stessa solfa. Visto che la mia era piuttosto alternativa, bisognava mettersi vestiti hippy, uscire a Piazza del Gesù e, peggio del peggio, amare i 99 posse. Non nego che per un breve periodo sono stata alternativa e ho cercato di amarli sti 99 posse, fino al giorno in cui ho deciso che non faceva nulla se mi avessero cacciata fuori dal gruppo solo perché avevo detto che mi facevano impressione sti brutti, sporchi, con le loro canzoni "Se vedo un punto nero gli sparo a vista", mentre io non volevo sparare proprio nessuno, mi volevo lavare i capelli e se vedevo un buco nero nel cielo non avevo nessuna voglia di sparargli.

Dopo l'università ho notato comunque che la storia non cambia e che la gente si attacca a un nucleo di amici, luoghi, cose, fatti, eventi come se lontano da quello non esistesse più. Pare che nessuno sia capace di vivere indipendentemente da tendenze, chicchiere, opinioni diffuse, credenze, categorie..

Per tanti anni ho pensato che la pazza fossi io. Ma perché ero diversa? Perché non potevo mettermi sto benedetto Barbour o farmi i dred e non lavarmi tutti i giorni, o cantare quello che mi dicevano di cantare e ripetere le idee che mi dicevano di avere? Crescendo: la rivelazione. Tutti questi cervelli messi dentro delle scatole e compressi, tutti questi caratteri omologati, tutti questi corpi e stili modellati: la libertà o la schiavitù stanno nella nostra organizzazione mentale del mondo.

Strano, eccentrico, imprevedibile, inafferrabile? Yes! Questa è la vera ricchezza, questa è la vera vita, lasciamo straripare questo flusso di idee di ogni tipo che vuole irrompere dentro e fuori di noi.

Oggi elegante e classica per passeggiare al Ritz, domani in maglietta e jeans per bere qualcosa a Belleville. Oggi elegante e classica per passeggiare a Belleville, domani in maglietta e jeans per bere qualcosa al Ritz.
Oggi invitata ad un cocktail organizzato dall'ambasciatore, domani nella favela nord di Rio de Janeiro tra i ragazzi delle periferie alle prese con problemi di droga e criminalità.
Oggi da Chanel a rue Cambon, domani al mercato di Posillipo con mamma.
Oggi a un concerto di Mozart, domani a uno degli Aerosmith.
Oggi a vedere un lento e silenzioso film asiatico, domani una puntata di Sex & the City.
Parlare con chi è considerato parte dell'elite dalla nostra società come fosse semplicemente un nostro pari, né più né meno e l'indomani con il contadino delle montagne del Medio Atlante, come fosse semplicemente un nostro pari, né più né meno.

L'unico punto di incontro tra tutto ciò siamo noi. Per citare di nuovo Protagora storpiandolo: Ognuno è la misura delle sue cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono.

mercoledì 11 maggio 2011

Dopati di insuccessi

L'avevo capito! Sentivo che il fallimento è un'opzione non solo possibile ma utile e positiva. Ed ora mi capita tra le mani un libro che lo conferma su basi neuroscientifiche.

Secondo quanto afferma il campione mondiale di backgammon, poker e scacchi, Bill Robertie: "il modo migliore per imparare, è concentrarmi sui miei errori, se non avessi sbagliato mille volte non sarei mai diventato un campione".

E cosa succede dentro al cervello mentre noi impariamo dai nostri errori? Che anche i neuroni dopaminergici imparano la stessa cosa. Anzi, siamo noi che impariamo grazie al fatto che i neuroni imparano. È semplice: tutto il segreto risiede in una molecola, la dopamina, un neurotrasmettitore responsabile per le nostre emozioni e quindi anche quello che ci aiuta a decidere (leggi mio post precedente), ma la cosa più interessante è che questa signora è anche responsabile delle aspettative. I neuroni dopaminergici generano continuamente nuove sinapsi in base alle esperienze: se avviene questo..allora ne segue questo. E quando non succede quello che si aspettavano, aggiornano la loro aspettativa. Se si aspettavano qualcosa che poi non arriva, c'è un calo improvviso di dopamina che abbassa il nostro morale, se invece avviene qualcosa che li sorprende e che non si aspettavano si eccitano ancora di più creando un sentimento di allegria e felicità (come è avvenuto per noi in Finlandia, si veda post più in basso Una terra incantata). Il cervello è progettato per amplificare lo shock delle previsioni errate e la gioia delle sorprese inattese. Ma è anche progettato per correggere l'aspettativa errata in caso questa non venga soddisfatta e cambiare il gesto che ha deluso tale aspettativa (saggezza popolare: Errare è umano, perseverare è diabolico).

Pertanto, ogni volta che commettiamo un errore o che registriamo un fallimento, per il cervello non c'è nulla di male in realtà, è solo da prendere come lezione per fare meglio la prossima volta, ma non è una catastrofe in sé. Anzi, come dice Robertie: se non avessi sbagliato migliaia di volte non sarei un campione mondiale.

I grandi non sono quelli che non sbagliano mai, ma quelli che hanno sbagliato e fallito migliaia di volte! Il modo migliore per migliorare non è concentrarsi su quello che è andato bene, ma su quello che è andato male. In tal modo, il cervello allena questa capacità della dopamina di ripensare i suoi circuiti, infatti, se noi esaminiamo conscientemente i fallimenti, la dopamina li interiorizzerà. Un feedback negativo è il migliore feedback che possiamo avere, ovvio: se sappiamo come usarlo!!

Il nostro amato Niels Bohr afferma che un esperto è "una persona che ha fatto il maggior numero di errori possibili in un campo di intervento molto ristretto".

La competenza non è altro che la saggezza generata dall'errore cellulare. Gli errori non sono nemici da eliminare, ma amicizie da coltivare e approfondire.

A supporto di tale tesi, è stato condotto un esperimento su due gruppi di studenti. La buona riuscita del primo gruppo nei risultati del test è stata lodata con la frase: "bravo, sei molto intelligente" e quella del secondo gruppo con la frase: "bravo, hai lavorato duro per ottenere questo risultato". Ebbene, il primo gruppo di studenti ha immediatamente iniziato a registrare risultati inferiori e a commettere più errori sin dal secondo test, per paura di deludere le aspettative di chi pensava fossero intelligenti nonché le proprie aspettative riguardo a sé stessi. Il secondo gruppo di studenti invece, ha solo avuto voglia di lavorare ancora più sodo e tutti hanno migliorato ulteriormente i propri risultati, evitando gli errori precedentemente commessi. Ovvero, quando gli errori commessi e i fallimenti registrati non intaccano la propria identità, ma sono inquadrati in un percorso di crescita, essi non fanno altro che fungere da trampolino di lancio per scagliarci proprio dove vogliamo arrivare. Evviva gli errori: ci renderanno più grandi.

Amen.

domenica 8 maggio 2011

Dopo più di tremila anni...ci stanno arrivando.

Nel 1982, un paziente di nome Elliot entra nello studio del neurologo portoghese Antonio Damasio, residente negli Stati Uniti, perché apparemente la sua vita sta cadendo a pezzi. In seguito a un'operazione al cervello, andata a buon fine, la sua vita non è ripresa come prima (buon padre di famiglia e manager di successo).
Dopo qualche giorno dal ritorno a casa, la famiglia ha iniziato a lamentare una mancanza di partecipazione e di empatia da parte del paziente. Qualche settimana dopo il ritorno al lavoro, è stato licenziato perché incapace di gestire qualsiasi progetto.
Il Dottore si rende conto che per il paziente ogni decisione da prendere diventa una montagna da spostare, che per altro non sarà spostata mai. Dall'educazione dei figli, alla camicia da mettere ogni mattina e ciò rende la vita quotidiana invivibile.
Per testare la sua capacità decisionale, Damasio chiede a Elliot quale giorno preferisce per il loro prossimo appuntamento. Un'equipe di medici osserva la risposta da dietro un vetro oscurato. Il paziente sfoglia la sua agenda per circa mezz'ora e per ogni singolo giorno dell'agenda enumera una serie infinita di pro e contro a sostegno o a discredito della possibilità di prendere appuntamento quel giorno e la maggior parte di queste ragioni sono assolutamente senza importanza, come ad esempio che il lunedì è meglio evitarlo perché troppo vicino alla domenica e così via.. e comunque alla fine non riesce a proporre nessuna data. Ma cosa è successo al cervello di Elliot, perché non è più capace di prendere decisioni?
Damasio fa allora una scoperta incredibile, esaminando cosa avviene nella materia grigia del paziente mentre gli mostra delle immagini piene di pathos si accorge che Elliot non prova assolutamente nulla, che si tratti di una scena di strage o di amore o di semplice allegria, il paziente non ha emozioni a riguardo.

Tale scoperta giunge totalmente inaspettata. In un periodo in cui la scienza ancora considera le emozioni umane come irrazionali, Damasio si trova di fronte al caso di una persona che non provando nessuna emozione è assolutamente incapace di prendere qualsiasi decisione, anche sul gusto del gelato desiderato. La scoperta del secolo era alle porte, la risposta che Platone, Cartesio e numerosi loro amici avevano tanto cercato era sotto gli occhi della sorpresa equipe di medici: quando non proviamo sentimenti, siamo incapaci di prendere qualsiasi decisione. Il sogno di tanti filosofi, ovvero quello di limitare la sfera d'azione delle emozioni e di diventare esseri il più razionali possibile è infranto. Se non siamo anche esseri emotivi, non possiamo effettuare neanche le azioni basiche del quotidiano!

Dopo aver esaminato altri pazienti dal profilo simile, Damasio fa una scoperta: quando la corteccia orbitofrontale del cervello è danneggiata, i contatti tra il sistema emozionale (limbico) e quello razionale (corticale) sono interrotti e quando il sistema emozionale non è in grado di inviare le sue informazioni a quello razionale, quest'ultimo non funziona più. Ovvero: sebbene il test QI del paziente sia normale, e cioè il paziente è in pieno possesso di tutte le sue facoltà mentali, non potendo prendere più alcuna decisione, il suo quotidiano non ha più senso, non è più in grado di lavorare e non prova più nulla per i suoi familiari e amici.

L'importanza fondamentale delle nostre emozioni contraddice dunque la percezione convenzionale della natura umana e mette a tacere secoli di speculazioni filosofiche.
Rallegratevi dunque! Il flusso di emozioni è quello che ci permette di vivere, di scegliere, di essere.
Emozionatevi, siate, vivete, decidete!

Amen.

lunedì 2 maggio 2011

Fidati: sei in buone mani.

Il mio primo medico generico qui a Parigi aveva, la prima volta che lo incontrai, una farfalla a pois al collo. La seconda volta che lo incontrai aveva la stessa farfalla. Da quel momento in poi, ogni volta che dovevo vederlo avevo la sensazione che stavo per andare al circo e mi metteva di buon umore, così iniziai a credere che lo facesse apposta. Forse era un Patch Adams del 19° arrondissement. Ma poi, a pensarci bene... era troppo scemo per aver pensato una cosa del genere, e poi non aveva nulla di così umano da farmi pensare che si mettesse la farfalla per promuovere il benessere psico-(e quindi)fisico dei suoi pazienti. Infatti, il giorno in cui gli chiesi di prescrivermi una ricetta e spedirmela senza dovermi fare un'ora di metro per vederlo e che lui si rifiutò, il nostro rapporto di medico(inutile)-paziente finì.

Non avendo più il medico di base, la volta successiva che mi sono ammalata ho chiamato il numero verde SOS medici per farne venire uno a casa. Un tipo arriva, mi sente le spalle, mi dice che non ho niente (avevo appena curato la tracheite con l'omeopatia e volevo sapere se i batteri, i virus e i loro amici erano andati via), ma che per precauzione (ma precauzione di cosa, se gli avevo detto che ero appena guarita), visto che avevo la tosse, era meglio prendere antibiotico e cortisone.
....................

Intanto, io dovevo scegliere un altro medico curante e ho fatto qualche telefonata in giro per trovarne uno vicino casa. I primi due si rifiutano di firmarmi giusto il modulo per la mutua nel quale si dice che sono loro il mio medico curante, ma vogliono che prenda appuntamento per una visita, così la devo pagare. Dunque cancello: questo no, questo no, questo no..finché finalmente ne trovo uno che accetta di diventare il mio medico curante solo con una firma e senza prendere soldi solo per avermi detto un sì. È un medico omeopatico. Riesco persino una volta a farmi mandare una ricetta a casa senza dover prenotare una visita e pagare per questo, ma non esageriamo: neanche lei mi dà la possibilità di chiamarla quando sto male. Praticamente i medici sono disponibili quando stai bene e puoi passare dallo studio e pagare, ma quando stai male, a casa, con 39 di febbre, che non sai cosa prendere, non c'è più nessuno. Non esistono numeri diretti senza passare per una, due, tre segretarie che comunque non fanno altro che prendere il tuo messaggio e dirti che ti richiameranno. A volte lo fanno, ma magari dopo che sei già di un altro mondo.

Oggi, due anni dopo l'episodio della tracheite, ne ha luogo uno simile. Dopo aver curato una tonsillite con l'omeopatia, voglio andare dal medico per farmi sentire le spalle e vedere se sto bene. Inizio a chiamare tutti i medici del quartiere, perché il mio medico curante abita lontano (vicino al lavoro). Il primo mi dice che non fa visite di medicina generale anche se è medico generico e di chiamare la farmacia del quartiere dopo le 9 per vedere se conoscono qualcuno. Il secondo ha messo la segreteria e rimanda a un altro numero a cui chiamo ma non risponde nessuno. Il terzo antipaticissimo risponde semplicemente:
- Scusi Dottore, sto male e avrei bisogno di essere visitata, posso passare in mattinata?
- Sì! alle 9h45. A dopo.

Ma dove siamo? Io non so davvero come abbia impostato la cosa Alcmaeone di Crotone, ma i medici non dovrebbero essere degli esseri umani che curano altri esseri umani? O sono dei robot che vogliono "curare" delle macchine?

Comunque vado da questo tipo, che mi apre la porta, mi dà la mano e mi schiude uno studio che sembra un'agenzia di comunicazione o di fotografia. Con tutti questi quadri di foto contemporanee, un po' fashion, di Brooklyn, Manhattan, ecc.. Mi fa stendere sul lettino, mi fa aprire la bocca, mi guarda un secondo e dice:
- Ha una brutta infezione, è ancora infettiva.
- Ma ho del pus?
- No, niente pus. (fiuu, è l'unica cosa che volevo sentir dire!). Ma ci deve essere stata un'infezione virale (e guarda un po', l'ho appena curata in soli due giorni con l'omeopatia) che poi è diventata batterica quindi deve assolutamente prendere gli antibiotici altrimenti non va via. Ecco la ricetta. Arrivederci.
..........
Non ho avuto neanche il tempo di parlare. Non mi ha sentito neanche le spalle. Ah sì, mi ha sentito un attimo il petto e mi ha chiesto se fumavo, quando gli ho detto di no, me l'ha richiesto, come se dovessi fumare per forza, pensava che mentissi? dice che avevo i bronchi un po' intasati, ma di fumo non di infezione...
Quando gli ho chiesto se poteva farmi il certificato a partire dal giovedì precedente mi dice di no, non è retroattivo. Invece quella volta che venne a casa il Dott. Gonzales, d'origini spagnole, così simpatico, che sembrava Fabio Briatore appena uscito dal Millionaire me l'aveva fatto senza la minima obiezione il certificato, a partire dal giovedì precedente, me l'aveva fatto retroattivo di 4 giorni.... ah, ah,...
Il Dott. Brooklyn non ha voluto neanche farmi il certificato fino al mercoledì successivo, ma solo fino al martedì, forse perché così mercoledì, se ancora malata sarei dovuta ritornare e fare un'altra visita, un altro certificato, un altro pagamento... insomma....mi sembra di stare in un film di Chaplin, mi sembra una catena di montaggio con me che continuo a montare anche quando la catena è finita. Oppure mi sembra un mercato, il mercato del pesce. Francamente, raramente percepisco una differenza di umanità tra un medico e un'orata, anzi! almeno l'orata anche se mi tratta male lo fa a causa dell'inquinamento marino e non perché è cattiva.
Mai una volta che mi senta ascoltata o che abbia l'impressione che vadano con calma, senza dover passare ai prossimi 80, 100 euro della visita successiva. Neanche quando ho accompagnato un'amica a fare la TAC al cervello il medico sembrava avere tempo per rispondere alle sue domande. Stava in piedi e tagliava corto a tutto quello che gli chiedevamo, non vedeva l'ora di stringerci la mano e mandarci via.

E un'altra amica che doveva fare un esame sotto anestesia, prima dell'esame ha dovuto incontrare l'anestesista solo per conoscersi e spiegare come si sarebbe svolto l'esame e ha pagato la visita (10 minuti) e poi ha dovuto ripagare l'anestesista, ovviamente, il giorno dell'esame. Insomma! Che mercato!! Che bel mercato! Il più redditizio del mondo! Ammaliamoci! Facciamoli contenti! E facciamo finta che le cure che ci danno funzionino!

Come è successo con il dermatologo che continuava a pensare che avessi toccato una pianta velenosa, causa dell'eruzione cutanea, tipo varricella, che avevo sulla mano. E io continuavo a dirgli che non avevo piante e che non ne avevo mai avute e che non incontravo mai piante sul mio cammino. Ma lui niente! è rimasto alla sua idea delle piante. Così io mi sono fatta da sola la mia diagnosi, ovvero che la causa era la metro sporca di Parigi che mi fa venire quelle pustole e infatti per due anni consecutivi le ho avute di nuovo...o forse avrò ritoccato quelle piante che non avevo mai toccato?

A volte mi fanno ridere, a volte mi fanno inkazzare, a volte mi fanno pena. Secondo me non sanno che pesci pigliare, non hanno neanche la più pallida idea di cosa tu abbia e ti prescrivono un po' la prima cosa che gli salta in mente: basta rivedere Caro Diario e poi chiedere, gridando: Ma cosa è successo alla seconda moglie del fratello del marito di Ridge???
Risposta non c'è, o forse chi lo sa, caduta nel vento sarà...